Articolo a cura di Dott.ssa Michela Pistilli – Legale, specializzata in anticorruzione e trasparenza, esperta nella redazione di Modelli organizzativi 231.
Se è vero che le conseguenze negative della pandemia hanno trasversalmente interessato l’intera economia, è altrettanto vero che la gravità dell’impatto del COVID 19 è stata di diversa entità a seconda dei settori, facendo emergere, in particolar modo, la difficoltà con cui le PMI hanno dovuto portare avanti le proprie attività aziendali.
Le PMI rappresentano le realtà imprenditoriali al centro del nostro Paese.
Per numero, fatturato e impiego di forza lavoro, esse rappresentano la struttura portante dell’intero sistema produttivo nazionale e sono altresì le realtà imprenditoriali che dopo il severo lockdown di primavera, la seconda e poi la terza ondata della pandemia, hanno assistito all’insorgere di pesanti sofferenze e contrazioni delle proprie attività aziendali. Ciò ha comportato una crescente sfiducia da parte delle imprese, nei confronti delle istituzioni pubbliche a causa della eccessiva burocrazia, della lentezza nella ricezione di aiuti pubblici e della difficoltà di accesso ai finanziamenti. Tutti questi elementi hanno esposto le PMI a un sempre più concreto rischio di corruzione e di infiltrazioni mafiose. In fasi come queste, infatti, le organizzazioni criminali potrebbero trovare terreno fertile per proporre i propri metodi che, per molte aziende, diventerebbero l’unica alternativa possibile.
Gli imprenditori che svolgono un’attività di impresa “sana” hanno la possibilità di salvaguardare le proprie aziende, attraverso strumenti utili volti a mitigare il rischio di svolgere le proprie attività nel mancato rispetto della normativa vigente.
In questa prospettiva, per evitare che sull’azienda ricadano le conseguenze derivanti dalla commissione di un reato da parte del dipendente persona fisica, un imprenditore che si ispira a canoni deontologici corretti, non può che propendere per l’adozione di un Modello di Organizzazione e Gestione ai sensi del Decreto 231/01 e di un Codice etico e di condotta che, seppure non obbligatori, quando efficacemente predisposti, attuati e diffusi, impediscono conseguenze giudiziarie nonché reputazionali, talvolta molto pesanti.
Confindustria con le sue ultime linee guida per la costruzione dei modelli organizzativi 231 pubblicate nel mese di giugno 2021 ha ribadito la possibilità per le PMI di creare Modelli organizzativi e Codici etici e di condotta che seppur meno complessi, rispetto a realtà aziendali più strutturate, ugualmente efficaci se conformi all’art. 6 dello stesso decreto.
Il primo passo che un imprenditore è chiamato a compiere è quello di soddisfare una premessa fondamentale cioè la diffusione di una cultura dell’anticorruzione, partendo dalle funzioni più alte della propria compagnie aziendale e scendendo via via a tutti i livelli.
Le funzioni dirigenziali devo impegnarsi in prima linea contro ogni comportamento volto a promuovere la corruzione e a sostenere con credibilità questa causa. Infatti, solo se viene soddisfatta tale premessa fondamentale, è possibile intraprendere provvedimenti di sicurezza efficaci a livello operativo.
La base da cui partire è la creazione di un codice etico e di condotta, finalizzato il primo a sancire i principi su cui muovere l’attività aziendale quali ad esempio l’integrità, la trasparenza, la correttezza nei rapporti con gli stakeholder della società; il secondo, invece, finalizzato a descrivere operativamente quali sono i comportamenti che l’azienda decide di adottare in determinate circostante che potrebbero presentarsi durante lo svolgimento dell’attività lavorativa come ad esempio la regolamentazione delle situazioni di conflitto di interesse.
Da un punto di vista operativo l’azienda oltre all’adozione di standard generali di controllo (segregazione delle funzioni, deleghe e procure, procedure/norme/circolari, tracciabilità) potrebbe adottare standard di controllo speciali con il fine di rafforzare ancora di più i presidi interni contro qualsivoglia fattispecie corruttiva, ad esempio: nella gestione dei rapporti commerciali prevedere delle verifiche rispetto all’affidabilità dei propri partner commerciali; rendere informati e far sottoscrivere ai propri partner la presa visione del proprio codice etico e del proprio Modello 231, prevendendo anche apposite clausole contrattuali finalizzate alla risoluzione del contratto in caso di comportamenti contrari agli stessi.
Nel processo degli acquisti prevedere ad esempio la creazione di un albo fornitori, periodicamente aggiornato, che preveda al suo interno solo fornitori accreditati in virtù di determinati requisiti quali, ad esempio, la mancanza di condanne per reati di corruzione, l’affidabilità e la reputazione generale degli stessi; prevedere una rotazione dei fornitori periodica e regolare anche le fattispecie per cui questa non sia possibile (es. i prezzi di un determinato fornitore risultano più competitivi nel mercato di riferimento).
In sede di verifiche ispettive e/o di rapporti con i rappresentanti della P.A. individuare preferibilmente due soggetti deputati ad intrattenere il rapporto, con la previsione anche di un report finale dell’incontro per garantire la tracciabilità dell’avvenuto incontro e dei contenuti dello stesso.
Tali standard sono sicuramente soltanto alcuni tra i tanti che una PMI potrebbe adottare al suo interno per rendere la sua attività meno esposta al rischio corruttivo, ma ovviamente da soli non bastano. È necessario diffondere, a tutti i livelli aziendali, una cultura anticorruzione, anche attraverso momenti formativi e di confronto, finalizzata a trasmettere l’importanza di svolgere un’attività aziendale eticamente responsabile, a favore non solo dell’azienda stessa ma di tutta la collettività.