AnticorruzioneArticoli Think Tank

Dr.ssa Alessandra Sciascia “Corte di cassazione, prescrizione in cinque anni per illeciti e sanzioni D.lgs. n. 231 del 2001”

Pubblicato il

Articolo a cura di Dr.ssa Alessandra Sciascia, Master Anticorruzione Tor Vergata

Prescrizione in cinque anni per illeciti e sanzioni

«Il termine di prescrizione stabilito dall’art. 22 del D.lgs. n. 231 del 2001, in materia di responsabilità amministrativa delle società e degli enti, riguarda tanto l’illecito, che dunque non potrà più essere perseguito decorsi cinque anni dalla consumazione del reato presupposto, quanto la sanzione definitivamente irrogata, che dovrà essere riscossa, a pena di estinzione, entro il termine di cinque anni dal passaggio in giudicato della sentenza pronunciata a carico della persona giuridica; fatti salvi, in entrambe le ipotesi, gli effetti di eventuali cause interruttive rilevanti a norma del codice civile».

Questo il principio di diritto enunciato dalla Prima sezione penale della Corte di cassazione con la sentenza n. 31854, depositata il 19 agosto 2021. Mediante quest’ultima, la Corte ha annullato, con rinvio, la decisione del Gip del Tribunale di Milano che si era discostata da tale principio.

Il caso

Il caso in esame concerne una S.p.a. condannata con sentenza pronunciata su richiesta delle parti, ai sensi dell’art. 63 del D.lgs. n. 231/2001, al pagamento di una sanzione pecuniaria che, vedendosi notificare la relativa cartella esattoriale di pagamento a distanza di oltre cinque anni dalla data del passaggio in giudicato della sentenza, ha adito il Gip di Milano, in funzione di giudice dell’esecuzione, domandando l’accertarsi dell’intervenuta prescrizione della sanzione, ai sensi dell’art. 22 del D.lgs. n. 231/2001.

Il giudice adito ha rigettato la domanda, sull’assunto che «l’art. 22 del D.lgs. n. 231 del 2001 disciplinerebbe la sola prescrizione dell’illecito amministrativo, stabilendo il termine di cinque anni, assoggettato a interruzione secondo la disciplina civilistica, nonché sospeso sino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio a carico del soggetto imputato del reato presupposto» e non riguarderebbe, invece, «la durata del termine entro il quale eseguire la sanzione irrogata all’ente con la sentenza definitiva adottata a suo carico».

Di conseguenza, «in mancanza di previsioni ad hoc, dovrebbe allora trovare applicazione il termine decennale di cui all’art. 2953 cod. civ., che avrebbe portata generale, riguardando esso i diritti, accertati con sentenza passata in giudicato, per i quali fosse anteriormente prevista dalla legge una prescrizione di durata più breve».

La Suprema corte, nell’affrontare la questione, ha fornito un’interpretazione sistematica dell’articolo 22 del D.lgs. n. 231/2001: «è vero che il comma 1 dell’art. 22, nello stabilire che il termine di cinque anni decorra dalla data di consumazione del reato, lascia intendere che tale termine si riferisca, in prima battuta, alla prescrizione dell’illecito», ma tale disposizione «deve essere letta congiuntamente agli altri commi che la compongono».

Nuovo periodo di prescrizione

In particolare, se a seguito di ogni atto interruttivo inizia un nuovo periodo di prescrizione (comma 3) e se, quando l’interruzione è avvenuta mediante la contestazione dell’illecito amministrativo dipendente da reato, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio (comma 4): non può che intendersi ulteriormente che, ove tale condizione finale si sia verificata, allora inizierà a decorrere nuovamente il termine prescrizionale ivi istituito, di durata quinquennale, d’ora in avanti riferito alla riscossione della sanzione definitivamente irrogata.

Pertanto, è dalla lettura coordinata dell’intera disposizione che può desumersi come «il legislatore abbia voluto disciplinare in modo unitario, all’interno del medesimo art. 22, sia il termine di prescrizione dell’illecito amministrativo, sia il termine di prescrizione della sanzione, ossia il termine entro il quale deve essere eseguita la sentenza di condanna irrevocabile che la contempli, pena la sua estinzione».

D’altronde, la volontà legislativa emerge già dall’opzione lessicale adottata nell’incipit dell’art. 22, che fa riferimento alla “prescrizione delle sanzioni amministrative”, così lasciando trasparire che il regime dettato riguardi propriamente queste ultime e regoli esattamente i termini di prescrizione ad esse riferibili, in fase di cognizione (l’accertamento della loro debenza) e in fase di esecuzione (l’esazione delle somme corrispondenti).

Passaggio in giudicato

La Cassazione, inoltre, osserva che “la sentenza che definisce il giudizio”, cui fa richiamo il comma 4, e dal cui passaggio in giudicato dipende la riattivazione del termine di prescrizione, «è senza dubbio quella pronunciata a carico dell’ente, nel giudizio volto all’accertamento del suo distinto titolo di responsabilità» e non quella emessa a carico dell’imputato del reato presupposto, come concluso dal giudice a quo, visto che, la responsabilità da reato degli enti può essere affermata anche nelle ipotesi di non avvenuta identificazione dell’autore del reato presupposto (ex art. 8, comma 1, lett. a, D.lgs. n. 231/2001).

Quanto al rinvio alla disciplina del Codice civile, la Cassazione, infine, sottolinea come questo sia effettuato «con precipuo ed esclusivo riferimento al regime dell’interruzione della prescrizione» e non anche della durata del termine di prescrizione.

Conclusioni

Questa conclusione è avvalorata da considerazioni sistematiche perché, a prescindere dall’ormai risalente dibattito, dottrinale e giurisprudenziale, sulla natura giuridica della responsabilità degli enti (penale, amministrativa o ibrida), «il sistema appare di stampo prettamente sanzionatorio» e, come tale, reclama l’adozione dello statuto proprio del diritto punitivo, cui senz’altro è estraneo l’art. 2953 c.c., dettato per il giudicato civile, per i profili di responsabilità da esso accertati e per la relativa azione esecutiva.

Le Sezioni Unite penali, del resto, nella sentenza n. 38343 (del 24/04/2014), hanno ribadito non essere dubitabile, a proposito della responsabilità degli enti derivante da reato, che «il complesso normativo in esame sia parte del più ampio e variegato sistema punitivo; e che abbia evidenti ragioni di contiguità con l’ordinamento penale per via, soprattutto, della connessione con la commissione di un reato, che ne costituisce il primo presupposto, della severità dell’apparato sanzionatorio, delle modalità processuali del suo accertamento».