Articolo a cura di Dott. Bruno Marco Zinno – Diplomato “Master in Compliance e Anticorruzione nei settori pubblico e privato – LUISS School of Law”
L’analisi delle dinamiche di premialità e non punibilità nella disciplina della responsabilità da reato degli enti, offre molteplici spunti per la valutazione dei profili problematici e dei punti di forza del sistema sanzionatorio configurato dal d.lgs.231/2001, rispetto alla sua applicabilità, nell’ottica della finalità special-preventiva assegnatagli dal legislatore e soprattutto nella prospettiva di mostrare alle aziende i benefici che derivano nell’investire in adeguate misure di compliance.
Il d.lgs.231/2001 ha costruito un complesso modello di imputazione basato sull’illecito amministrativo dipendente da reato, imperniato cioè sulla connessione tra il reato-presupposto, compiuto nell’interesse e a vantaggio dell’ente, e il comportamento dello stesso. In altre parole, la riforma ha introdotto una colpa di organizzazione dell’ente che fa da parametro selettore di responsabilità, colpa derivante da una mancata o inidonea adozione di un modello di organizzazione e gestione volto alla prevenzione del reato.
L’adozione di un modello di organizzazione e gestione è un elemento esimente della responsabilità da reato dell’ente e quindi della sua punibilità ove il giudice ne affermi la sua idoneità ed effettività.
La rimessione al giudice della valutazione dell’idoneità del modello presenta, nella prassi, alcuni elementi problematici come il deficit culturale dei giudici riguardo struttura e funzioni di organizzazioni complesse e la mancanza di parametri minimamente affidabili per la formulazione nel giudizio di idoneità del modello, che inevitabilmente riducono la funzione esimente dello stesso rendendolo elemento esclusivamente burocratico, di cui il giudice accerta solo l’esistenza senza rilevarne l’effettività preventiva. Nella prospettiva di un superamento di tali problemi è evidenziare la necessità di irrigidire la valutazione di idoneità per offrire un catalogo di misure preventive agli enti da un lato e assicurare omogeneità e oggettività in sede giudiziale dall’altro, necessità che può essere soddisfatta attraverso una positivizzazione di schemi e protocolli cautelari a cui sia gli enti che i giudici possono attingere nella realizzazione o valutazione dei modelli, in questa prospettiva si muovono le interessantissime “nuove linee giuda di Confindustria” in tema di responsabilità degli enti emanate lo scorso Giugno. Senza una riforma in tale senso gli enti continueranno a non essere attratti dall’inefficace funzione preventiva del modello, si assiste infatti nella prassi a clonazioni di modelli totalmente scissi dalla realtà aziendale, aventi il solo scopo di formale “esistenza” in sede dibattimentale, a favore della sua funzione riparatoria.
Nel sistema sanzionatorio configurato dal d.lgs.231/2001, come accennato, sono quindi presenti forme di premialità per le aziende che attraverso le cosiddette condotte riparatorie.
L’art. 12 del decreto delinea la disciplina dei “casi di riduzione della sanzione pecuniaria”, in particolare, al secondo comma, stabilisce che la sanzione pecuniaria è ridotta da un terzo alla metà se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, l’ente ha adottato condotte risarcitorie o riparatorie e implementato modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire il reato di cui è accusato.
Le condotte appena descritte determinano, inoltre, ai sensi dell’art. 17 del decreto, anche l’inapplicabilità delle sanzioni interdittive temporanee previste, le quali consistono in: interdizione dall’esercizio dell’attività; sospensione o revoca di autorizzazioni; divieto di contrattare con la pubblica amministrazione; l’esclusione da finanziamenti e contributi.
È evidente che si è in presenza di sanzioni molto gravi e sostanzialmente incapacitanti, tali da paralizzare l’attività dell’ente o condizionarla attraverso la limitazione della sua capacità giuridica e la sottrazione di risorse finanziarie, ed è quindi fondamentale per le aziende conoscere quali sono quei comportamenti, consistenti come si è visto in azioni risarcitorie, riparatorie e soprattutto nell’adozione di adeguate pratiche di compliance, che permettono proprio di evitare questo tipo di sanzioni.
Nell’analisi della disciplina della responsabilità da reato dell’ente è inoltre utile affrontare, da un punto di vista critico e prospettico, anche l’importante tema della non punibilità. Nell’affrontare questo tema il legislatore si era confrontato inizialmente con un numero ridotto di reati-presupposto e di ipotesi di non punibilità del sistema penale, prevedendo soltanto, all’art.8 del d.lgs.231/2001, la sussistenza della responsabilità dell’ente anche in casi di non identificazione o non imputabilità dell’autore del reato, quando il reato si estingue per cause diverse dall’amnistia, nonché un regime diversificato di prescrizione. Successivamente, oltre all’allargamento dei reati-presupposto previsti, sono sopravvenute nel nostro ordinamento nuove ipotesi di non punibilità che costringono ad un analisi delle possibili relazioni con il decreto e, di conseguenza, sul regime di responsabilità dell’ente. La disciplina dell’art.8, decretando un’autonomia della responsabilità dell’ente, sembra escludere l’estensione della non punibilità delle persone fisiche agli enti, il che ci permette di fare alcune riflessioni in merito ai motivi di tale scelta e i vantaggi che invece deriverebbero da una sua estensione. Facendo riferimento alla disciplina della particolare tenuità del fatto, che esclude la punibilità del reato ai sensi dell’art.131bis c.p. ma non intacca la responsabilità dell’ente, comportando solo una riduzione della sanzione pecuniaria ai sensi del d.lgs.231/2001, ci si può chiedere, in termini di ragionevolezza e uguaglianza, del motivo di questa scelta da parte del legislatore. A parere di chi scrive, tale decisione appare legittima in quanto l’ente potrebbe avvantaggiarsi della particolare tenuità del fatto se si riferisse anche al soggetto collettivo distribuendo il reato tra diversi soggetti, frazionando dal punto di vista della gravità, in modo da schermarsi attraverso il ricorso a tale istituto.
Anche riguardo le condotte riparatorie, inserite nel nostro ordinamento soprattutto in materia ambientale e tributaria, ci si pone il problema del loro coordinamento con il “sistema 231”. La questione sta nell’attrattività per gli enti nell’adottare e alimentare le condotte riparatorie quando lo schermo della non punibilità è dato solo alla persona fisica e quindi non offre vantaggi agli stessi. Una possibile risoluzione potrebbe esserci attraverso una rimodulazione del sistema, elevando di rango quelle condotte riparatorie che già permettono all’ente di ridurre le sanzioni pecuniarie ed evitare le interdittive, naturalmente tenendo conto delle possibili diverse variabili e specificità dei diversi reati-presupposto.